Ischia News ed Eventi - Intervista ad Adriana Follieri

Intervista ad Adriana Follieri

La regista Adriana Follieri

Teatro
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Intervista ad Adriana Follieri, regista dello spettacolo “Miriàm, storia laica di una nascita annunciata” in scena il 22 e il 23 dicembre al Teatro Polifunzionale.
«Far nascere un teatro a Ischia è come aver creato un’altra isola che fa fiorire ancora più rigogliosamente la prima»

A pochi giorni dal debutto incontriamo Adriana Follieri, regista dello spettacolo “Miriàm, storia laica di una nascita annunciata” che andrà in scena per Ischia Teatro Festival il 22 e il 23 dicembre. La pièce è il racconto universale della nascita e della morte, di una maternità profondamente laica che pure si riconosce nei nomi e nei luoghi di una fede nata senza il sospetto del proselitismo. Storia di un Cristo nella pancia di sua madre, racconto intenso di nove mesi di paura, solitudine, incomprensione, stelle guida e stupore di fronte all’inatteso.

La forza evocatrice della voce, prima ancora che delle parole. Come nasce l’esigenza di Miriàm, qual è il significato più profondo di questa storia laica di una nascita annunciata?

«Ci sono storie che spingono per essere raccontate. Sono storie potenti, eterne, che ci appartengono da sempre come la lingua madre, come una voce familiare, come la nostra stessa voce. La storia di Maria, madre del Cristo, ragazza vergine riempita da un annuncio, presagio vivente del miracolo, del cambiamento e della tragedia, è forse la più straordinaria di tutte le storie. “Miriàm” la racconta, ancora una volta, ché non smettiamo mai di essere quei bambini incantati che chiedono “ancora!”; la racconta scavando nel profondo dell’umano che questa storia sacra contiene. Le paure, le fragilità, la forza sovrumana, la grazia, la fede nella vita e nella bellezza delle cose, l’amore, il coraggio… la mia voce prova in scena a restituire tutte le complesse sfumature che la storia contiene, dando vita ad un’opera semplice e al tempo stesso multiforme. Lo spettacolo è dunque abitato dalla mia voce che racconta, evoca e coinvolge; la musica del violoncello di Pasquale Termini, anch’essa sospesa tra narrazione, sospensione e provocazione la raddoppia e la traduce; le immagini concrete, poetiche, intime e quotidiane composte dai due attori sulla scena, Fiorenzo Madonna e Valentina Illuminati (un uomo e una donna, forse l’icona stessa dell’uomo e della donna, in bilico sul confine tra il personale e l’universale, in bilico tra la storia di Miriàm e quella di ciascuno di noi) danno forma alle visioni e a tratti le negano, suggerendone di nuove; le luci disegnate da Davide Scognamiglio compongono la tela su cui il quadro si muove e muta. Quattro livelli narrativi, quattro spazi fisici, quattro luoghi dell’anima che accompagnano lo spettatore nelle suggestioni della storia, lasciando a lui la libertà e il compito di comporre infine con il proprio sguardo la propria storia di Miriàm, unica e universale».

Il tuo lavoro si basa anche e soprattutto sulla formazioni di artisti e cittadini che abbiano uno sguardo internazionale, attraverso la continuità territoriale e lo sviluppo nei mestieri dell’arte e della scena. Qual è il tuo approccio con i “nonAttori”?

«Credo profondamente che il teatro sia - ancora adesso, adesso più che mai - un rito necessario e condiviso che appartiene all’umano da quando l’umano esiste, e che i riti di rappresentazione siano una forma di preghiera laica necessaria all’evoluzione delle culture e dei singoli. Credo dunque che il teatro sia di tutti. In questo tempo pare però che molti lo abbiano dimenticato, o peggio ancora mai scoperto, rinunciando ad una lingua capace di parlare a popoli lontani e vicinissimi, capace di parlare a noi di noi stessi, di guardare indietro e proiettarsi potentemente in avanti. Molta parte del mio lavoro si concentra su questa scoperta e restituzione. Da sempre studio, frequento, indago le faccende teatrali e da quasi dieci anni mi dedico alla formazione teatrale per attori, registi, drammaturghi e soprattutto Non Attori, indagando la pratica della scena dal loro punto di vista privilegiato: quello dello spettatore innamorato, che senza essere un teatrante per professione, ovvero un addetto ai lavori, può guardare con purezza alle possibilità del linguaggio teatrale, scoprirne nuovi anfratti e diventare in primo luogo uno spettatore consapevole e appassionato, oltre che un singolare autore di quel teatro dell’umano che preme per essere detto. Nel lavoro con i Non Attori scopro spesso un teatro insolito e al tempo stesso quotidiano, sicuramente vibrante e curioso, sicuramente generoso, come a volte nemmeno i professionisti sanno essere. Non rinuncio dunque a questo luogo prezioso, sforzandomi da sempre di tenere alto il livello comunicativo, alte le difficoltà e profonda l’indagine, perseguendo il coraggioso obiettivo di innalzare me stessa e gli interlocutori verso livelli espressivi non comuni, in un certo senso non amatoriali, non prevedibili, forse scomodi, ma certamente di grande sviluppo personale e collettivo, provando insieme a salvaguardare e far fiorire il territorio interiore e di conseguenza quello circostante. Internazionale è ciò che non si trincera e guarda fuori, fa domande, prova a cambiare la sua lingua per contattare altri mondi, altre parole, altri sensi. I Non Attori sono senza dubbio la spinta propulsiva che maggiormente alimenta il teatro in questo tempo arido».

Hai lavorato anche per il teatro cosiddetto “sociale”, qui a Ischia è nato da pochissimo un Teatro voluto dagli attori per la gente, un teatro d’amore e di libertà. Basandoti sulle tue esperienze come vedi questo progetto?

«Ringrazio con gioia gli sforzi di chi come voi è capace di fondare ed edificare realtà che prima non esistevano. Ringrazio chi ha la forza di fermarsi e mettere radici di senso in un luogo, aprire un teatro, dedicarlo e donarlo alle persone, all’umanità tutta, a noi. Sono le uniche realtà che possono esistere e resistere. Esercitare una pratica di Teatro sociale non come categoria di genere, ma come sguardo aperto verso il pubblico, che è l’anima del teatro è la qualità profonda di questo dono. Far nascere un teatro così a Ischia, farlo nascere su un’isola, è come aver creato un’altra isola che fa fiorire ancora più rigogliosamente la prima. Io vi sono grata, perché anche l’isola lo è. E siamo davvero felici di portare il nostro lavoro da voi, incontrare gli artefici di questa sfida bella e coraggiosa. Ci prepariamo a venire da voi e vi aspettiamo in tanti, curiosi e numerosi!».