Molti Comuni del Mezzogiorno cominciano a chiedere, per rispondere ai bisogni dei cittadini in tema di servizi e sviluppo economico, una legislazione “speciale”. I problemi di queste comunità, infatti, non possono essere risolti con il Testo Unico degli enti locali del 2000, che è un ampliamento della legge 142/90, la cosiddetta legge Gava, attesa dagli amministratori locali da oltre 50 anni.
Il Testo Unico pone sullo stesso piano un mega-comune come Napoli — che, per la sciagurata legge Del Rio, ha accorpato anche la Città Metropolitana istituita al posto dell’ex Provincia — e un piccolo Comune di 700 abitanti come Ventotene, in mezzo al Mar Tirreno.
Di recente, il Comune di Giugliano in Campania, terza città della regione con 124.000 abitanti su 94 km², ha approvato all’unanimità un ordine del giorno con il quale chiede al Governo una “legge speciale”, con un sostegno governativo alle proprie risorse finanziarie. Con l’attuale stato delle cose, infatti, non può offrire ai cittadini servizi adeguati né progettare soluzioni eccezionali per incrementare lo sviluppo economico e sociale, compromesso anche da cattivi affari.
L’ordine del giorno — segno di vitalità politica e “pressione morale” verso il Governo affinché adotti provvedimenti con forza di legge — è stato votato all’unanimità, pur essendo proposto dalla maggioranza di centrosinistra guidata dal neosindaco Diego D’Alterio. Il documento evidenzia che il Municipio di Giugliano ha 187 dipendenti, mentre secondo gli standard tanto cari ai leghisti del Nord e imposti al Sud dovrebbe averne 1.038. La sola polizia municipale conta 56 vigili urbani, mentre ne servirebbero 207. I numeri parlano da soli e costituiscono la parte più significativa del documento, alla cui stesura ha partecipato attivamente la consigliera comunale Ilaria Fasano, del PD, professoressa alle scuole medie di Giugliano, amante della nostra isola e figlia di due miei vecchi colleghi universitari, Domenico e Lidia.
Ischia negli anni ’50
La richiesta del Comune di Giugliano mi ha riportato alla mente l’Ischia degli anni ’50, all’inizio del suo sviluppo economico e con la passione della “ricostruzione” dopo il secondo dopoguerra. I sei Comuni ricostruiti, dopo sei anni di Comune Unico di epoca fascista e altrettanti di guerra, non avevano soldi nemmeno per acquistare un vecchio autobus per portare i ragazzi alla scuola media, presente solo nel capoluogo, con circa 200 studenti provenienti da tutta l’isola.
Le classi dirigenti di allora, per avviare uno sviluppo, chiesero al governo un “ente speciale di valorizzazione” con proprio personale e autonomia finanziaria, finanziato dallo Stato Centrale e dalla ricostruita Provincia nel 1952. Si richiamarono a una vecchia legge del 1939 che istituiva un “ente autonomo per la valorizzazione dell’isola d’Ischia”, mai entrato in funzione a causa dello scoppio della Seconda guerra mondiale.
L’ente fu ricostruito nel 1952 con durata ventennale e divenne protagonista del lancio internazionale di Ischia. Fu una “legge speciale” di sostegno al territorio e alla popolazione, affiancata dall’intervento straordinario della Cassa per il Mezzogiorno. Negli anni ’50 e per venti anni, Ischia ebbe dunque due interventi legislativi e operativi “speciali e straordinari”, a supporto dell’amministrazione ordinaria dei sei Comuni. Fu, alla prova della storia, una felice intuizione della classe dirigente politica e imprenditoriale.
L’errore storico: chiudere l’EVI
Chiudere l’EVI da parte della Regione Campania nel 1972, al termine del ventennio, fu un errore storico di incommensurabile grandezza. L’isola perse non solo una “legge speciale”, ma anche la sede istituzionale forte per un’azione di coordinamento. Infatti, non fu mai approvato il piano regolatore intercomunale redatto dal prof. Corrado Bequinot per incarico dell’EVI nel 1968.
Successivamente, nel 1992, venti anni dopo, arrivò la chiusura della Cassa per il Mezzogiorno.
Straordinario
La natura ci ha restituito poteri straordinari della politica con il terremoto del 2017 e l’alluvione del 2022. Il commissario straordinario di governo, on. Giovanni Legnini, che opera da tre anni, ha dichiarato che “la ricostruzione è entrata in una fase matura”.
Ma come? Con ordinanze sindacali “contingibili e urgenti”? E per quanti anni ancora? Come mantenere in piedi la morente economia di Casamicciola? Come riavviare nella comunità più colpita la socialità? Ci vorranno almeno 50 anni e 20 commissari.
Casamicciola, 29.10.25
Giuseppe Mazzella – Il Continente
