“Che cosa sono le “Società di Trasformazione Urbana”, lo strumento giuridico che abbiamo proposto per risolvere il problema del complesso Pio Monte della Misericordia (vedi il servizio – video “Pray,see, cry) e del bacino termale di La Rita a Casamicciola (vedi il servizio-video su “Toscanini a Casamicciola 58 anni dopo) su www.ischianews.com ? Pubblichiamo un intervento dell’avv. Renato Perticarari, Presidente Nazionale delle Società di Trasformazione Urbana, apparso nel 2003 sul sito giuridico “Altalex”per avviare un dibattito contenutistico.
Introduzione
Sono trascorsi ormai circa cinque anni dall'introduzione nel nostro ordinamento di una particolare tipologia di società mista di iniziativa comunale, la società di trasformazione urbana: tuttavia, dopo un lungo periodo di scarsa attenzione, si sono intensificati solo negli ultimi tempi i casi di studio, se non ancora di avvio, delle procedure per la costituzione di queste entità societarie.
E’giusto pertanto domandarsi se questo interesse, anche se tardivo, che comincia a manifestarsi da parte delle amministrazioni locali sia destinato ad ampliarsi e quali siano le motivazioni di tale rinnovata attenzione.
Per rispondere a questa domanda è opportuno tenere a mente l'evoluzione normativa che ha portato all'introduzione delle Stu e chiarire le specificità che contraddistinguono questo tipo societario.
L'innovazione normativa che ha introdotto tale tipo societario risale al 1997, ed è contenuta nella legge 127/1997 (la cosiddetta "Bassanini-bis"), che al comma 59 dell'articolo 17 disciplinava, in modo piuttosto scarno, le modalità di costituzione e di funzionamento di tali società e, caso inusitato, fissava in pratica lo stesso oggetto sociale delle future S.T.U.: "progettare e realizzare (quindi commercializzare) interventi di trasformazione urbana in attuazione degli strumenti urbanistici vigenti".
Tale disposizione è stata poi integralmente recepita nell'articolo 120 del nuovo testo unico degli enti locali ed ha trovato una sua parziale fonte interpretativa nella Circolare del Ministero LL.PP. dell'11.12.00.
Da ultimo l'art. 7 della Legge n. 21/2001 ha previsto uno stanziamento di 41.6 miliardi in un triennio da destinare ai Comuni per finanziare le attività istruttorie volte alla costituzione delle S.T.U.
Il dibattito sulle modalità di utilizzo di questo istituto quale possibile strumento di riqualificazione di determinati ambiti urbani - su cui si sofferma anche il recente documento dell'Ance sulle politiche di trasformazione urbana - porta tuttavia a evidenziare una serie di problemi relativamente al concreto funzionamento delle Stu.
Si tratta di zone grigie che derivano da una disciplina legislativa che è particolarmente scarna (tutta la regolamentazione si esaurisce nei quattro commi dell'articolo 120 del Dlgs 267/2000 sulle autonomie locali); a mio giudizio, peraltro, ciò si traduce di fatto in un notevole vantaggio funzionale per l'operatività dello strumento societario.
Le previsioni urbanistiche e l'utilizzo della Stu.
Con giusto rilievo la circolare ministeriale dell'11 dicembre 2000 evidenzia come il comma 1 dell'articolo 120 prevede che la Stu, nella realizzazione degli interventi di trasformazione urbana, operi "in attuazione degli strumenti urbanistici vigenti". Ciò significa che la società si pone come uno strumento attuativo delle previsioni urbanistiche e che, come chiarisce il Ministero, l'intervento di cui la S.T.U. è titolare non deve essere necessariamente e puntualmente "conforme”alle previsioni dello strumento urbanistico generale, ma può anche integrarne le previsioni negli stessi limiti e alle medesime condizioni di un qualunque strumento attuativo.
In buona sostanza, quindi, si può arrivare a prevedere di demandare alla S.T.U. l'esatta definizione di una serie di parametri urbanistici relativi all'utilizzo del territorio. Nel concreto, pertanto, questo soggetto dovrà provvedere a predisporre la progettazione urbanistica esecutiva, necessaria per dare attuazione alle previsioni del piano regolatore generale.
Ciò evidentemente consente che i privati coinvolti quali partner imprenditoriali possano fin dall'inizio partecipare attivamente alle scelte progettuali che determinano l'individuazione dei limiti e delle condizioni dell'intervento.
Questo aspetto, peraltro, è destinato ad assumere sempre maggiore rilievo con il diffondersi di un modello di pianificazione urbanistica che tende a individuare nel piano regolatore generale lo strumento per la definizione delle scelte di fondo e "non negoziabili”relativamente all'uso del territorio; mentre la pianificazione di secondo livello è destinata a dare concreta attuazione, in un arco temporale più limitato, a quelle scelte che il piano regolatore ha definito in via generale.
L'acquisizione delle aree: il ruolo dei proprietari quali possibili partner.
Quello delle modalità di acquisizione delle aree su cui si deve sviluppare l'intervento di trasformazione urbana è uno dei punti qualificanti per delineare il concreto funzionamento della Stu. Ma è anche un aspetto su cui la disciplina legislativa non aiuta a fare chiarezza.
Il comma 2 dell'articolo 120 stabilisce infatti da un lato che la Stu deve provvedere alla "preventiva acquisizione”delle aree interessate all'intervento e, dall'altro, che tale acquisizione può avvenire consensualmente o tramite ricorso a procedure espropriative.
Nel caso dell'acquisizione consensuale la strada disegnata dal legislatore appare sufficientemente lineare: la società, una volta costituita, contratta con i proprietari delle aree l'acquisizione delle stesse, provvedendo a determinarne condizioni e modalità e, in primo luogo, il prezzo.
In sede di acquisizione consensuale, la determinazione del prezzo è lasciata alla libera contrattazione delle parti. In questo senso, non appare chiaro il rinvio - contenuto nella circolare del Ministero - ai criteri di cui all'articolo 5-bis del Dl 333/92 (convertito in legge 359/92) che si riferiscono alla cessione bonaria, cioè a un'ipotesi di cessione che, pur traendo origine da un accordo tra le parti, si inserisce in un procedimento espropriativo già avviato; mentre l'acquisizione "consensuale”prevista dal comma 2 dell'articolo 120 sembra porsi in netta alternativa all'esproprio, e quindi del tutto fuori dal procedimento espropriativo.
L'altra strada per l'acquisizione delle aree è il procedimento di esproprio; questo, secondo quanto previsto dal comma 2, è effettuato dal Comune, ma beneficiario dell'esproprio è direttamente la Stu, su cui grava il pagamento dell'indennità.
Va peraltro rilevato che l'esproprio è attivabile relativamente a tutte le aree da acquisire, poiché la delibera del Consiglio comunale che individua le aree oggetto di intervento vale come dichiarazione di pubblica utilità anche per le aree non direttamente interessate da opere pubbliche (comma 3).
Questo quadro delineato in via astratta dal legislatore ai fini dell'acquisizione delle aree è in realtà suscettibile di varianti operative: in particolare, come del resto evidenzia la stessa circolare ministeriale, è praticabile la possibilità che i proprietari delle aree possano diventare soci della Stu conferendo nella stessa le aree.
La scelta dei soci privati.
Come detto, al di là della particolare ed eventuale posizione dei soci proprietari delle aree, la regola generale fissata dal comma 1 dell'articolo 120 è che gli azionisti privati della Stu vengono scelti tramite procedura di evidenza pubblica.
A tal proposito va detto che la norma non tipizza in alcun modo detta procedura, ma, sul presupposto dell'assimilabilità della Stu alle altre società con azionariato pubblico degli enti locali, si ritiene generalmente utilizzabile il richiamo alle norme previste per la scelta del socio privato nelle società miste costituite per la gestione dei servizi pubblici locali.
Più in particolare si può ipotizzare il ricorso alle norme di cui al DPR n. 533/1996, che, tuttavia, andranno di volta in volta tarate in relazione alle singola fattispecie, tenuto conto che le regole fissate nel suddetto DPR sono finalizzate alla individuazione di soci chiamati ad erogare servizi pubblici locali.
In sostanza, il rinvio al DPR n. 533/1996 va inteso unicamente come rinvio a un modello di procedura, identificato con l'appalto concorso; ma i contenuti di essa andranno definiti in termini del tutto autonomi rispetto alle previsioni del DPR n. 533.
Le modalità operative della Stu.
In base alle previsioni del comma 2 dell'articolo 120, la Stu, una volta acquisite le aree, deve trasformarle e commercializzarle. In termini operativi ciò significa che la società deve provvedere alle attività di progettazione e costruzione prevista dall'intervento di trasformazione urbana e, quindi, alla commercializzazione di quanto costruito.
Nello svolgimento dell'attività di progettazione e costruzione la Stu può operare attraverso due modalità: o attrezzandosi con una propria organizzazione interna che provvede direttamente alla progettazione e alla costruzione ovvero rivolgendosi al mercato attraversamento l'affidamento all'esterno di queste attività.
In questo secondo caso - che dovrebbe essere quello ordinario - si è posto il problema di eventuali vincoli cui la Stu potrebbe essere sottoposta in quanto soggetta all'adozione di procedure a evidenza pubblica per la scelta dei progettisti e degli esecutori delle opere.
In realtà non sembra che la Stu possa essere considerata soggetta all'applicazione della legge n. 109/1994 sui lavori pubblici.
Infatti, l'unica categoria soggettiva che potrebbe venire in considerazione, tra quelle individuate all'articolo 2, comma 2, della legge 109, è costituita dalle società a capitale pubblico, in misura anche non prevalente, che abbiano a oggetto della propria attività la produzione di beni e servizi non destinati a essere collocati sul mercato in regime di libera concorrenza. Ma un'attenta analisi dell'attività tipica della Stu porta a ritenere che i beni da essa prodotti (e cioè fondamentalmente le edificazioni private aventi destinazione residenziale, direzionale o commerciale) sono destinati a essere collocati sul libero mercato, in quanto oggetto di vendita o di locazione o comunque attraverso altre forme contrattuali che ne assicurino la commercializzazione.
In sostanza gli interventi di trasformazione urbana di cui la Stu è soggetto attuatore hanno, come elemento qualificante, la realizzazione di manufatti privati e la loro commercializzazione.
In altri termini la Stu, se correttamente utilizzata, è funzionale alla realizzazione di interventi di trasformazione urbana rispetto ai quali l'eventuale presenza di opere pubbliche si pone in funzione collaterale e strumentale rispetto all'attività, connotata dal rischio di impresa, che è appunto la riqualificazione di un ambito urbano attraverso la realizzazione e commercializzazione di manufatti privati.
Ed è quindi coerente, rispetto a questa configurazione, la mancanza di qualunque obbligo ad applicare procedure di evidenza pubblica che sono destinate a regolamentare fenomeni del tutto diversi.
Né può assumere un peso decisivo al circostanza che le Stu siano partecipate da soggetti pubblici, quali sono gli enti locali. Ciò che infatti conta, ai fini dell'applicabilità di procedure di evidenza pubblica, non è tanto il coinvolgimento di soggetti pubblici nel capitale della società né la presenza di finanziamenti pubblici, quanto piuttosto l'attività (cioè la funzione) che la società è chiamata a svolgere: e se questa attività/funzione non è connotata, in via principale, dal perseguimento di interessi strettamente pubblici, coerentemente si deve concludere che la società non è chiamata ad agire secondo modelli procedimentali tipicamente pubblicistici.
La convenzione tra ente locale e società.
Un altro punto delicato relativamente all'operatività della Stu è rappresentato dalla convenzione che, in base alle previsioni del comma 4 dell'articolo 120, deve disciplinare i rapporti tra l'ente locale azionista e la società.
I possibili contenuti di questa convenzione sono i più vari; essa può contenere le prescrizioni e le modalità cui la società deve attenersi nell'attuazione dell'intervento di trasformazione urbana, ma può giungere al punto di contemplare anche cause di scioglimento del vincolo sociale o anche clausole che riguardano più strettamente i rapporti tra i soci (la quota di finanziamenti di ciascuna parte in aggiunta all'apporto di capitale, le modalità di anticipazione di tali finanziamenti, le modalità di remunerazione della società, ecc.).
In questa logica che demanda a una convenzione tra ente locale e società la disciplina di aspetti così significativi per il funzionamento della Stu si può scorgere un equivoco di fondo. Infatti, laddove la convenzione contenga, oltre alle prescrizioni di natura urbanistica e realizzative, anche clausole di natura più strettamente societaria, l'ente locale viene a configurarsi al contempo come azionista e possibile antagonista della società. E’per questo che, a mio giudizio, è bene tenere distinte le prescrizioni del primo tipo da quelle del secondo.
Le prime troveranno necessariamente sede nella convenzione prevista dal 4° comma dell'art. 120 che assumerà quindi anche connotazioni pubblicistiche, le seconde, invece, dovrebbero avere la natura di patti parasociali nell'ambito dei rapporti societari.
Conclusioni
In definitiva, pur con le perplessità che un istituto così nuovo inevitabilmente genera, non c'è dubbio che la S.T.U. è uno strumento potenzialmente dirompente per i paludati percorsi amministrativi dell'edilizia.
A tal fine, tre sono i pilastri fondamentali su cui si può reggere la fortuna di questo istituto:
1. l'individuazione da parte dell'ente locale di un obiettivo ritenuto strategico per la collettività amministrata, ma al contempo non facilmente (e non in tempi brevI) raggiungibile con risorse autonome;
2. l'acquisita consapevolezza che per il raggiungimento di tali obiettivi può risultare indispensabile il concorso dei privati;
3. il superamento, per ottenere tale concorso, di ogni pregiudiziale, non solo ideologica, al riconoscimento di un concreto vantaggio per i privati che sono chiamati a realizzare anche l'obiettivo pubblico.