Caro Antonio, “la Storia è come un paesaggio di nuvole. Lo si vede bene solo da lontano. Chi c’è dentro non vede nulla e non capisce nulla”. Trovai l’osservazione in un libro di storia economica una quarantina di anni fa ma non ricordo chi l’ha detta. Sta di fatto che da allora l’osservazione è una pietra miliare per il mio lavoro di giornalista. Non siamo forse noi gli “storici dell’istante”? Non dobbiamo cercare di capire qualcosa in questo “paesaggio di nuvole”? Ricordo la considerazione di Oriana Fallacci nella premessa dell’“Intervista con la Storia”: “… perché la storia di oggi si scrive nell’attimo stesso del suo divenire… temo il giornalismo per questo… il giornalismo è un privilegio straordinario e terribile…”.
Il “Roma”, il più antico quotidiano del Mezzogiorno d’Italia, compie 150 anni e bene hai fatto a richiamare quell’impegno programmatico del 22 agosto 1862 perché è ancora attuale, perché nel corso di 150 il “Roma” è rimasto fedele a quell’impegno con la “storia vivente” di chi l’ha scritto con le sue luci e le sue ombre come è ogni storia vivente. Cominciai a scrivere sul “Roma” agli inizi degli anni ‘ 70 , avevo vent’anni, come corrispondente da Casamicciola pagato “a rigaggio” per “raccomandazione” del proto del giornale, il mitico Giuseppe Quattrucci, che trascorreva le vacanze ad Ischia. Mi presentò a Franco Scandone, il capo delle “Province”, che mi dette le lezioni fondamentali. Il giornale allora era schierato all’estrema destra e la politica italiana era “delimitata” dal cosiddetto “arco costituzionale”.