Nella seconda metà del ‘500, quando Vicerè di Napoli era il Cardinale Granvela, si sentì l’esigenza di dotare il Borgo dei Gelsi di una fonte autonoma di acqua potabile “atteso che quel luogo mancava di acque potabili, per essere stato occupato dal mare il freschissimo e rinomato fonte alla spiaggia di Cartaromana, ove innalzavasi il Ninfario dei signori di Guevara”.
“Per provvedere all’utile del Borgo dei Gelsi, oggi volgarmente denominato Ischia Ponte, il Cardinale Granvela concedette a questa Università alcune immunità ed esenzioni dal pagamento della gabella sul vino, detta tratta, acciocché queste somme riscosse pel detto dazio invece di andare a profitto del regio erario, fossero invertite alla costruzione dell’acquedotto che l’acqua di Buceto al Borgo dei Gelsi avesse condotta”.
Nel 1580 il cavaliere Orazio Tuttavilla, Governatore dell’isola, ebbe l’incarico di mettere mano alla costruzione, ma, siccome i fondi raggranellati non erano bastevoli, si dovette ricorrere ad una forte tassa sui cereali e solo nel 1590 si pose la prima pietra per la costruzione dell’acquedotto che, tra alterne vicende terminò circa due secoli dopo.
Accadde infatti che i lavori furono sospesi dopo aver interessato circa due miglia, delle quattro previste, per un totale di 3,750 chilometri dei 7,5 appaltati.
Dopo circa 80 anni Mons. Girolamo Rocca, vescovo di Ischia, si assunse il compito di portare a termine l'opera, con enormi sacrifici e con la sola iniziativa privata.
Un errore imprevisto ritardò l'arrivo dell'acqua tanto desiderata: si era al primo ordine degli archi, sui quali erano installati i canali per il fluire dell'acqua; la forte pressione fece spaccare i tubi in cotto. Si dovette provvedere rapidamente alla costruzione del secondo ordine di archi e migliorare i condotti. A prima vista, tutta la massa violastra della costruzione (oggi superficialmente denominata Pilastri) richiama alla mente la sagoma di un acquedotto romano. Ed infatti molti additano i Pilastri come un'opera di età romana, togliendo ogni merito al Governatore dell'isola Orazio Tuttavilla, che iniziò l'opera e a Mons. Girolamo Rocca, vescovo di Ischia, che la condusse a termine.
L'opera fu realizzata in pieno '600 e le pietre trachitiche utilizzate furono prelevate dalle cave vulcaniche dell'Arso prodotte con l'eruzione del 18 gennaio 1301.
Mons. Girolamo Rocca, prima di andare a ricevere il premio dei suoi sacrifici (1692), poté vedere l'acqua di Buceto zampillare, sia pure in modo rudimentale, nel centro di Ischia.
Solo nell'anno 1759 furono erette due fontane: nella piazza del Borgo dei Gelsi e dietro l'attuale Chiesa Cattedrale”.
E lì, sulla facciata del dirimpettaio antico palazzo comunale, dove batte il pubblico orologio, si legge una lapide marmorea che commemora l'avvenimento dell'arrivo dell'acqua al centro del Borgo dalla lontana fonte di Buceto, ma viene taciuto il lavoro condotto dal Tuttavilla e da Mons. Rocca che, invece, in questo scritto, in maniera convinta, pubblica e solenne, vogliamo ricordare:
D. O. M.
Aquam ex fonte Buceti
ad IV M. P. pubblico aere derivatam
labroque ex tiburtino lapide ornatam
et Turri in qua concilia fierent adpositam
Addito horario
Decuriones Pithecusani
Utendam fruendam civibus dederunt
A. MDCC LVIIII
(A Dio Ottimo Massimo - I decurioni ischitani diedero ai cittadini, perché ne usassero e godessero l'acqua derivata a pubbliche spese dalla sorgente di Buceto al quarto miglio, ed ornata di una vasca di travertino e diretta verso sì grande torre, ove si tenevano le adunanze ed aggiuntovi l'orologio. Anno 1759).
Un secolo dopo il Re di Napoli Ferdinando II resosi conto che la Villa dei Bagni, oggi volgarmente denominata Ischia Porto, aveva bisogno anch’essa di una pubblica fontana, dispose la costruzione di un acquedotto militare che rifornisse d’acqua sia la Villa che l’Antica Reggia che lo ospitava per lunghe e piacevoli vacanze.
Sul muro esterno del ‘Palazzo Reale’, a sinistra di chi guarda l’ingresso, faceva bella mostra di sé, fino ad una cinquantina di anni fa, una fontana in ghisa e, dietro di essa, dove oggi ha sede la benemerita Associazione dei Marinai d’Italia, la cisterna che raccoglieva l’acqua di Buceto.
Oggi, dei tre allacciamenti che fornivano d’acqua gli isclani, è in funzione solo quella di Fiaiano, posta accanto ad una Chiesa diroccata, lungo la stradina che mena dalla piazzetta al Rotaro.
Sul nome Buceto vi sono varie opinioni e congetture, come, d’altro canto, per il nome della nostra isola.
Giovanni Pontano riteneva che Buceto derivasse dal latino ‘abocaetus’ per la moltitudine di uccelletti, soprattutto quelli di passo, che affollavano la fonte per dissetarsi e rinfrescarsi vista la penuria di fonti sul resto dell’isola.
Giulio Cesare Capaccio faceva derivare dal greco ‘bubulcus’, cioè luogo adatto al pascolo dei buoi,
perché questo ed altri luoghi silvestri dell’isola sono adatti al pascolo di armenti.
Lo storico Francesco De Siano fa derivare il nome da Docceto, poi Bocceto, perché vi doccia dalla montagna argillosa l’acqua che il nome vi prese.
Io ricordo che, una sessantina d’anni fa, quando mia nonna Ursulella, mi inviava a Fiaiano per un gallone d’acqua soleva dirmi: “Peppì va’ a Vuceto e pigliami questo bottiglione d’acqua”.
Forse il segreto del nome è tutto lì: i nostri antenati l’avrebbero così chiamata per il ‘vociare’ delle acque scaturenti dalla montagna.