Ischia News ed Eventi - Nannina di Piano Liquori

Nannina di Piano Liquori

Nannina

Cucina e Tradizione
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Ho conosciuto Nannina di Piano Liguori diversi anni fa. Avevo appreso dalle pagine del quotidiano “Il Golfo”, che nel piccolo borgo sopra accennato, era stato aperto un bar – ristorante casareccio, gestito da persone del luogo.

L’idea di un punto di ristoro, in quel centro rurale, di cui spesso avevo sentito parlare, mi riempì di gioia e di curiosità. Un pomeriggio primaverile, mi “arrampicai” per quell’antica e ripida gradinata che portava in cima, là dove c’era il villaggio.

Quest’ultimo era armonioso e ben articolato. Viottoli, stradine, gradini, arricchivano quel piccolo agglomerato di case contadine, costruite con architettura semplice ed essenziale. C’erano ampi cortili, cisterne, lavatoi. Nelle cucine piccole e grandi, focolai e forni a legna signoreggiavano. Era lì che un tempo le donne trascorrevano gran parte della giornata. Non c’era vita tutt’intorno, le case erano abbandonate da tempo. I vecchi contadini non esistevano più, i giovani si erano trasferiti verso le zone costiere. In quell’apparente desolazione, avevo la sensazione che improvvisamente le anime si fossero materializzate, al punto da sentire voci soffuse e vedere persone muoversi in quegli spazi, tra le colline e i vigneti nei quali avevano trascorso l’intera vita. Mi resi conto che il punto di ristoro era un pretesto, ero andata in quel luogo per cercare un’anima contadina, con la quale poter comunicare.

Tra e poche antiche casette non mi fu difficile trovare la meta prefissata, e la prima persona che incontrai nel cortile fu proprio Nannina. Era intenta a sgusciare dei legumi da lei coltivati; sedeva a terra con i piedi nudi, aveva un fazzoletto legato alla nuca e un grosso grembiule.

Seduta di fianco c’era una nipotina di neppure due anni, tutta presa a giocare con le scorze dei legumi. Fui accolta con calore e una spontaneità che non potrò mai dimenticare. Senza formalità ed imbarazzo alcuno, trovammo ambedue modo di dialogare con semplicità e spontaneità. Ero andata lì per bere un tè, ma Nannina mi offrì delle pere appena raccolte e mi fece bere acqua di cisterna.

Sedute sul terrazzo dal quale ammiravamo il paesaggio collinoso e selvaggio, mi raccontò, con dolce nostalgia di quella contrada che un tempo era stata ricca di una vita semplice e laboriosa.

Nannina percepì subito la mia curiosità di conoscere e, presa dal vortice dei ricordi, cominciò a narrare, mentre i suoi occhi vivi e intelligenti guardavano quel mare sconfinato, che era stato muto testimone di una civiltà passata.

A quei tempi le casette sparse erano tutte abitate, ed ogni famiglia era composta da un nucleo di almeno 10 persone. Tutt’insieme costituivano però una grande famiglia e ci si voleva bene.

Nelle tiepide serate tra la primavera e le calde controre d’estate, le donne si riunivano nello slargo all’ingresso del villaggio. Si lavorava con il ricamo ed i cestini di raffia, si filava la tela, si parlava del corredo, delle ragazze da maritare e dei loro pretendenti, del raccolto e della vendita che avveniva ad Ischia Ponte.

La mattina all’alba, le contadine del vicino centro di San Pancrazio, chiamavano a raccolta le donne di Piano Liguori, e tutte insieme con canestri e “cofanielli” pieni di verdure e di frutta andavano giù al ponte attraverso sentieri e scorciatoie.

Era bello scendere in compagnia con la speranza di vendere. Era altrettanto bello risalire con i canestri vuoti e le poche lire nel fazzoletto. La fatica fisica veniva premiata e nell’atmosfera magica di quei tempi, anche il duro lavoro della terra diventava un rito quotidiano che rinvigoriva il corpo e l’animo. I gesti semplici e rituali erano colmi di significato, così come accendere il fuoco per cucinare e riscaldare la casa, seminare per raccogliere e poi vendere, lavorare per nobilitarsi, ricamare e dialogare insieme per essere uniti con le stesse gioie e gli stessi dolori, mentre il vociare e le urla dei bambini animavano festosi le stradine di quello spazio infinito.

Gli uomini invece, dopo un’intensa giornata di lavoro, s’incontravano nelle cantine dove travasavano il vino, lo saggiavano, ne apprezzavano il colore e il sapore. Fieri del lavoro e del raccolto, fieri della loro dignità, tra un assaggio e l’altro, alternavano i loro racconti con le storie dei briganti della terraferma, la cui eco arrivava fino alla nostra isola.

La voce pacata e melanconica di Nannina mi aveva tuffata in quel mondo che avrei voluto vivere, ma che lei aveva vissuto pienamente e dal quale non si era mai allontanata completamente.

I colori del tramonto si erano ormai dissolti. Le prime ombre della sera creavano un’atmosfera antica tra le vecchie mura, c’era silenzio e il profumo della legna che bruciava si spandeva nell’aria.

Salutai Nannina con affetto e cordialità, mentre lei metteva nella mia borsa la rughetta selvatica raccolta vicino alle parracine e alcune pere del suo albero.

Giù alla piazza di Campagnano, dove avevo fermato la macchina, l’impatto con la cosiddetta civiltà (tra motorini, macchine, bus, clacson) fu tremendo. Pensai con affettuosa angoscia a Nannina, ai profumi, alle pietre, alle colline selvagge con le quali ella era tutt’uno.

Meditai ancora un po’ su quel mondo, così diverso, così distante dal nostro.

A Nannina,

che come un pezzo di roccia,

ha assorbito le essenze benefiche della natura

e le ha trasmesse a tutti coloro che l’hanno conosciuta.

Grazie Nannina,

antica custode di un tempo,

che mai più tornerà.

NanninaNanninaNannina