“Il Citarese aveva già scaricato dall’asino una “sporta” di melanzane, un cesto di zucchine ed un canestro di pomodori, un’uomo dal collo taurino reggeva, in testa, una grossa “cofanella”, in perfetto equilibrio, senza l’aiuto delle mani. Lo aiutavano a deporla sul marciapiede, mentre lui, ancora ritto per lo sforzo, si toglieva dal capo il “tortiello” (panno che gli era servito per attutire il peso avvolto intorno a sé stesso), toglieva dalla cesta le foglie, che la coprivano, e vedevi spuntare grosse e succose ciliegie rosse. Il “citarese” era “invidiato” dal resto dei mercanti perché le primizie di Citara erano un lusso...* *
**Fonte: Polito Agostino, Com’era il mio paese, Forio, Centro di Ricerche Storiche D’Ambra, 1991, pp. 65-66)
Basta quest’introduzione di Agostino Polito per proiettarci con la mente agli anni ’50, quando la coltivazione della vite, la parsimonia nel curare grandi orti a cielo aperto, il duro lavoro e la soddisfazione di sentirsi dei “privilegiati” fecero delle “siene di citara” un paradiso naturale con tutti gli elementi protagonisti: sole, mare, terra, e l’uomo a ricordarci il monito di madre natura; “Come mi tratti così sarai trattato”.
La piana di Citara a Forio, oggi una delle spiagge più note, era, insieme al litorale della Chiaia, un’area destinata alla coltivazione ad ortaggi, con le primizie che erano caricate sulle barche per essere smerciate altrove, per un vero e proprio mercato d’altri tempi. Le “siene di citara” hanno caratterizzato per secoli l’economia e l’alimentazione contadina di Forio ma anche, e soprattutto, dell’intera isola, in quanto i prodotti di questa magica baia facevano la loro bella presenza sui banchi dei mercati rionali con largo anticipo sulle normali stagionalità: da qui l’identificazione con “le primizie di citara”.
Le foto dell’epoca raffigurano appezzamenti coltivati, detti ‘a siena, in modo geometrico, con il mare a pochi metri, dando l’impressione di un’immensa oasi dove mare e terra s’incontravano per uno spettacolo che ammaliava i primi turisti che scoprivano un’isola rude che da anonima diventò internazionale. Quello stesso mare, che nel corso dei secoli ha rappresentato una fonte di pericoli, soprattutto per Forio tormentata dagli sbarchi dei pirati, fu l’elemento di congiunzione tra pescatori e contadini che sulla battigia davano vita al baratto mare/terra con i colori del basilico, melanzane, e pomodori che si confondevano con il pesce azzurro dei pescatori foriani e non. Questi, ed altri prodotti, sono la base della cucina partenopea, ma in particolare di quella popolare foriana che è una cucina povera e rustica, espressione di una società e di una cultura di contadini, pescatori e artigiani, le cui ricette sono tramandate di generazione in generazione, così come di generazione in generazione si sono susseguiti interi nuclei familiari che trascorrevano lunghe giornate in questi immensi campi dove l’eco dei canti popolari alleviava la gran fatica e vivevano “le siene” come la loro seconda casa: si usciva all’alba e si ritornava al tramonto.
In ognuno di questi appezzamenti vi era un piccolo deposito ( u’ casiell’) che diveniva una vera e propria casetta dove ci si riposava o ci si proteggeva dalle intemperie. La particolarità dei prodotti delle “siene” era, anche se in proporzioni minori lo è tuttoggi, dovuta all’originale morfologia dei terreni; infatti, gli appezzamenti a terrazza erano irrigati con l’acqua termale del bacino di Citara, attinta dal sottosuolo attraverso un sistema chiamato in dialetto ‘u ‘ngiegn: una ruota fatta girare da asini bendati in modo da riempire i secchi collegati a lei, in seguito svuotati in apposite vasche (a’pischera) dove l’acqua era fatta raffreddare. Se nelle altre zone dell’isola il raccolto avveniva nei mesi di Luglio e Agosto, a Citara iniziava a fine Maggio e con quest’anticipo sui normali tempi di raccolta partivano i contadini (rigorosamente a piedi durante la notte…) per presentare in anteprima il “pomodorino citarese” ai mercati dell’intera isola.
Ischia per i suoi paesaggi incantevoli, le preziose acque termali, i siti archeologici e i suoi monumenti è stata da sempre meta di pittori, scrittori, intellettuali e poeti che ne hanno decantato il fascino. Dagli anni ‘50 l’isola conosce un periodo di splendore e diventa polo d’attrazione di un turismo mondano grazie ai due industriali, Gaetano Marzotto e Angelo Rizzoli, che hanno contribuito alla sua valorizzazione, ma di pari passo con lo sviluppo d’elite gli ospiti metropolitani&internazionali facevano conoscenza con la vera isola, con i contadini che a stento conoscevano l’italiano, ma avevano una virtù che si rivelò uno dei punti di forza della nuova offerta turistica che si andava sviluppando: la spontaneità genuina.
La stessa spontaneità con cui Pasquale Castagliuolo (Pasquale il Tassista) oggi mi racconta storie d’altri tempi, un periodo emozionante soprattutto per i primi turisti che guardavano con curiosità uomini e donne trascorrere faticose giornate nei campi, con la schiena piegata ed il sole che non dava tregua, fin quando non avveniva la magia: con un cenno della mano l’ospite era invitato nel campo per assaggiare le primizie ed intanto la donna correva a prendere la bottiglia di vino per un momento di rara intensità umana dove i gesti valevano più di qualsiasi parola. S’improvvisavano insalate “povere” con le patate che erano avvolte in teli e immerse nei pozzi d’acqua termale per una cottura al vapore, o il pane raffermo condito con pomodoro, cipolle, basilico e olio, le forchette erano paletti di bambù che divennero souvenir per i turisti da mostrare una volta a casa: questi racconti sono la prova che la felicità vera è quella che costa poco. Oggigiorno sentiamo parlare di fidelizzazione della clientela, ma con orgoglio possiamo dire che la prima forma di fidelizzazione ci è stata insegnata dai nostri padri che senza chiedere nulla in cambio presentavano la nostra isola nella sua forma più vera:assaporandola dalla terra,che poi è fonte di vita.
Aniello Castagliuolo( Aniell’ e Ignazio), Andrea Buonomano ( Sassulill’), Luigi Castagliuolo (U’Frung’t), Bernardo Castagliuolo (Cazzuol’) sono alcuni tra i protagonisti di un’epoca dove l’uomo sposava, e rispettava, la terra formando un legame indissolubile fatto di tanta fatica, sacrificio ma con la consapevolezza di vivere per il piacere dei buoni sapori, ma soprattutto di nobili principi. Per i turisti dell’epoca l’incontro nelle “siene” era un appuntamento da non mancare, da ripetere ogni anno.
Quello che rese Ischia originale erano questi gesti che il turista, all’inizio, non riusciva a spiegarsi con il contadino altresì sorpreso da tali reazioni, poiché questi nobili gesti li riteneva del tutto normali in quanto: chi dalla vita chiede solo l’essenziale avrà sempre un sorriso originale, un sorriso onesto come la terra e il mare!