Mario Lodi ci ha lasciato il 2 marzo, a 92 anni. Per tutta la sua vita ha voluto essere soprattutto il maestro di molti bambini e di molti insegnanti, cui ha insegnato con la pratica una scuola diversa, viva, creativa: pedagogia del gioco, attivismo, educazione ambientale, studio della Costituzione...
In tempi in cui la scuola italiana era ancor più rigida di adesso, Mario Lodi faceva scuola giocando con i bambini, scriveva favole con loro, li esortava a coltivare la propria creatività, a cooperare e a discutere ogni argomento. La sua idea dell’insegnamento è stata espressa in molti libri e in numerose conferenze, sempre con grande semplicità. Come racconta Tullio De Mauro nel suo ricordo di Lodi (su Repubblica del 3 marzo), lui preferiva raccontare le esperienze vissute con i bambini anziché citare riferimenti ai grandi pedagogisti di cui pur conosceva benissimo le opere.
Sosteneva sempre che la scuola non serve solo a trasmettere delle nozioni, ma a imparare insieme, a esercitare la propria creatività, a capire il mondo e a diventare amici.
Diventare amici: in queste due parole è condensata la più innovativa delle caratteristiche del suo lavoro. Oggi si fa un gran parlare delle competenze necessarie per essere buoni cittadini italiani ed europei, ed è di moda parlare della competenza psico-emotiva necessaria sia all’apprendimento, sia alla vita sociale e lavorativa, per l’ottimizzazione delle energie e la gestione dei conflitti... tanta teoria e poca pratica. La scuola italiana è sempre meno attrezzata per sviluppare questa competenza negli alunni e nei docenti. A questo Mario Lodi proponeva una soluzione semplice: non aspettarsi la soluzione dall’alto, ma lavorare insieme per cambiare le cose. In una sua lettera agli insegnanti del 2010 (per il testo completo clicca qui) si legge:
Mi è capitato spesso, in questo periodo, di ricevere lettere o telefonate da qualcuno di voi. La domanda che mi viene rivolta con maggiore insistenza è: “Come facciamo a insegnare, in tempi come questi?”
Anch’io, come voi, soprattutto nei primi anni della mia attività di maestro, mi ponevo interrogativi analoghi. Ho cominciato ad insegnare subito dopo la guerra. Le classi erano molto numerose. Capitava anche di avere bambini e bambine di età diverse.
Forse qualcuno di voi ha la brutta sensazione di lavorare come dopo un conflitto: in mezzo a macerie morali e culturali, a volte causate dal potente di turno – ce n’erano anche quando insegnavo io – che pensa di sistemare tutto con qualche provvedimento d’imperio. I vecchi contadini delle mie parti dicevano sempre che i potenti sono come la pioggia: se puoi, da essa, cerchi riparo; se no, te la prendi e cerchi di non ammalarti e, magari, di fare in modo che si trasformi in refrigerio e nutrimento per i tuoi fiori.
Il mio augurio per il nuovo anno scolastico è questo: non sentitevi mai da sole e da soli! Prima di tutto ci sono i bambini e le bambine, che devono essere nonostante tutto al centro del vostro lavoro e che, vedrete, non finiranno mai di sorprendervi. Poi ci sono altre e altri che, come voi, si stanno chiedendo in giro per l’Italia quale sia ancora il senso di questo bellissimo mestiere. Capitò così anche a me, anche a noi. Cercammo colleghe e colleghi che si ponessero le nostre stesse domande... Poi ci sono anche i genitori e le zie e i nonni dei vostri alunni e delle vostre alunne, che possono darvi una mano, se saprete, anche insieme a loro, rendere la scuola un luogo accogliente e bello, in cui ciascuno abbia il piacere e la felicità di entrare e restare assieme ad altri.
L’eredità più potente di questo piccolo grande maestro sta tutta qui, nella scoperta che lavorando insieme, diventando amici dei colleghi e degli alunni, si può trasformare la scuola in un luogo accogliente, dove si impara più facilmente perché lo si fa con gioia.
Lilly Cacace Rajola